L’Idromele è la più antica bevanda alcolica attestata nel lessico
comune indoeuropeo, ed era tra le bevande alcoliche più utilizzate
nel mondo antico, prima che la diffusione della vite nel bacino del
mediterraneo ed in Europa, introducesse l'uso del vino. Questa
bevanda si diffuse ampiamente in epoca preistorica, soprattutto
nelle pianure settentrionali ed orientali dell’Europa, anche in zone
climatiche fredde. Il suo nome deriva dalle parole greche "hydor"
(acqua) e "mèli" (miele), e qui sta l'essenza di questo prodotto,
una mescita fra acqua e miele, per ottenere la naturale
fermentazione alcolica. L'idromele si fa solo in questo modo,
diffidate di chi aggiunge alcol (la distillazione è stata inventata
solo nel medioevo) o descrive metodi fantasiosi per produrlo.
La sacralità dell'ape quale animale messaggero del cielo, che
trasforma il sole in miele, e l'acqua vista come la linfa vitale che
scorre nelle vene della madre terra rendono l’Idromele sacro presso
i Celti, come essenza del divino nell’unione fra cielo e terra.
Nella mitologia indoeuropea l’Idromele è la bevanda tipica
dell’aldilà, nel mondo celtico come in quello germanico.
Nell’Europa celtica (IX°-I° sec. a.C.) era bevuto dai Druidi e dalle
tribù nelle cerimonie sacre che scandivano il ritmo delle stagioni.
Si consumava nelle feste di Samonios (l’odierno Ognissanti a
novembre) capodanno celtico, ad Imbolc (il giorno della Candelora a
febbraio) festa di fine inverno e rinascita della natura, a Beltane
(maggio) festa propiziatoria di fertilità durante la quale venivano
celebrati i matrimoni, a Lugnasad (agosto) festa di ringraziamento
per i doni della stagione agricola, ed infine agli equinozi di
autunno e primavera e nei solstizi d'estate e d'inverno. L'uso era
finalizzato ad ottenere l'ebbrezza alcolica per potersi avvicinare
al divino fino ad incontrarlo.
In molte tombe principesche dell'Europa del VI°-IV° secolo a.C.,
sono stati trovati recipienti con resti d’Idromele quale riserva del
defunto per il Sidhe, l'aldilà celtico. Nella tomba del principe di
Hochdorf, nel Baden-Wurttemberg (VI° sec. a.C.), associato ad uno
straordinario corredo funerario, vi era un calderone in bronzo della
capienza di 500 litri riempito per tre quarti d’Idromele.
L'uso dell’Idromele è rimasto diffuso fino a tutto il medioevo,
soprattutto durante i matrimoni, dove nel mese lunare successivo
alla cerimonia, veniva consumato nella convizione che potesse dare
forza alla coppia nella procreazione. Per questo motivo ancora oggi
si usa definire il primo periodo dopo il matrimonio "Luna di miele".
L’Idromele viene descritto nell’epica indoeuropea come spumeggiante,
e il rinvenimento negli scavi archeologici di corni potori e
bicchieri alti e stretti (come a Pombia) sembra confermare questo
dato, poiché questi recipienti ben si adattano alla conservazione
dell’effervescenza.
Abbinamenti gastronomici
Su come berlo e a quali cibi accompagnarlo ognuno può sbizzarrirsi
con la propria creatività. Sulla base della mia esperienza vi
consiglio di servirlo sempre fresco (10° – 12°), per un brindisi fra
amici, con della pasticceria secca, come aperitivo, o nel dopo pasto
con i dolci proprio come per i vini bianchi dolci, fermi o spumanti.
Può essere inoltre paragonato data la gradevole dolcezza e il
retrogusto mielato ad un vino da meditazione.
Ben si accompagna ai nostri formaggi di montagna, meglio se
arborinati e saporiti, o ad una fetta di pecorino stagionato o di
gorgonzola, cosparsi di noci tritate e di miele di castagno tiepido,
o a delle fettine di lardo con miele millefiori.
Ottimo è anche come rimedio contro il raffreddore se riscaldato con
l’aggiunta di chiodi di garofano ad ottenere una specie di vin
brulè.
Autore
Medukaros (Paolo Listello)
Note
L'autore, enologo, produce da diversi anni un ottimo idromele, "L'idromele dei
taurini", chi desiderasse provare questa antichissima e nobile bevanda può
contattarlo ai seguenti recapiti:
Paolo Listello (Medukaros),
strada Contessa, 67
10040 Caselette (To)
Cell. 340/6795366
mail: meducaros@jumpy.it
Pubblicato il 22/01/2007
Bibliografia
- La Birra e il Fiume, Pombia e le vie dell’Ovest Ticino tra VI e V secolo
a.C. (2003), Celid, Dott. Filippo Maria Gambari (Soprintendenza
archeologica del Piemonte)
- Del vino d’orzo, La storia della birra e del gusto sulla tavola a Pombia
(2005), Comune di Pombia, Dott. Filippo Maria Gambari (Soprintendenza
archeologica del Piemonte)
- Dnans ch’a fàssa neuit, angign e ròbe del passà salvà da la desmèntia
(1999) - Priuli & Verlucca editori, Luciano Gibelli